TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA 
                           Sezione penale 
 
    Il Tribunale, composto dai Magistrati: 
        dott. Francesco Caruso - Presidente; 
        dott. Cristina Beretti - Giudice; 
        dott. Andrea Rat - Giudice. 
 
                              Ordinanza 
 
    1.  Avanti  l'intestato  Tribunale  si  sta  celebrando  il  maxi
processo, cosiddetto processo Aemilia,  che  vede  imputate  piu'  di
centocinquanta persone sia per il reato di associazione a  delinquere
di stampo 'ndranghetistico che per molteplici  reati  fine  aggravati
dall'art. 7, legge n. 203/1991. 
    All'odierna udienza tutti i  difensori,  con  il  consenso  degli
imputati in stato di custodia cautelare  in  carcere,  hanno  aderito
allo sciopero proclamato dall'OUA. 
    Nel solo mese di  maggio,  la  presente  rappresenta  la  seconda
astensione proclamata dagli organismi di categoria alla  quale  hanno
aderito i difensori ed acconsentito gli imputati che  si  trovano  in
stato di custodia cautelare in carcere. 
    Nella  precedente  occasione,  il  Tribunale,   dubitando   della
legittimita'    della    disciplina    dettata    dai    codice    di
autoregolamentazione e contenuta nell'art. 4, comma  1,  lettera  b),
aveva sollecitato, ai sensi dell'art. 13, lettere a) e b),  legge  n.
146/1990, la Commissione di garanzia  per  lo  sciopero  nei  servizi
pubblici essenziali a pronunciarsi su una serie di questioni che  qui
si riportano cosi' come all'epoca strutturate: 
        «... Nel disporre il rinvio dell'udienza osserva tuttavia  il
tribunale   come   la   specifica   previsione    del    codice    di
autoregolamentazione che consente agli avvocati di  dare  corso  alla
dichiarazione di astensione in un processo con  rilevante  numero  di
detenuti (oltre venti), in qualche caso sottoposti al regime  di  cui
all'art.  41-bis  dell'ordinamento  penitenziario,  se  gli  imputati
prestino  consenso  all'iniziativa  dei  propri  difensori,  presenti
profili da sottoporre in via preliminare  alla  autonoma  valutazione
della Commissione affinche' la stessa, sulla base dell'esperienza del
caso concreto, possa rivalutare il consenso dato al  predetto  Codice
sulla base delle forme e degli strumenti  d'azione  che  alla  stessa
Commissione sono conferiti dalla legge  sullo  sciopero  nei  servizi
pubblici essenziali. 
    Segnala il tribunale come la disposizione in questione, applicata
nel contesto di un processo delle dimensione di quello attualmente in
corso avanti al tribunale di Reggio Emilia con  circa  centocinquanta
imputati, centinaia di capi d'imputazione,  centinaia  di  testimoni,
migliaia di pagine di trascrizioni, di intercettazioni telefoniche  e
ambientali, in corso da oltre  un  anno,  con  prevedibile  ulteriore
lunga  durata,  con  elevatissimi  costi  per  la  collettivita'  per
vigilanza, sicurezza, predisposizione dell'aula d'udienza, servizi di
videoconferenza e di assistenza tecnica, e altro ancora e soprattutto
con detenuti in custodia cautelare dal 28 gennaio 2015, non  realizza
alla prova dell'esperienza concreta quel giusto equilibrio di  valori
e interessi contrapposti che la Suprema Corte considera per principio
attuato dal giudizio della Commissione di garanzia  che  supera  ogni
diversa concreta valutazione di altri organi. 
    Il tribunale intende soffermarsi sulla previsione che consente  a
oltre venti detenuti che si protestano innocenti  e  che  proprio  in
forza  di  tale  rivendicata  posizione   processuale   hanno   nelle
precedenti occasioni di astensione dalle udienze, svoltesi in marzo e
aprile di quest'anno, negato il consenso ai  difensori,  di  cambiare
opinione e di accedere alla richiesta dei propri difensori, abdicando
alla tutela del proprio fondamentale diritto di essere processati nel
piu'  breve  tempo  possibile  e  comunque  in   tempi   ragionevoli,
rinunciando pertanto a  qualsivoglia  possibilita'  di  tutela  della
presunzione di innocenza e  della  liberta'  personale,  se  solo  si
considera che per effetto del consenso prestato, i detenuti subiranno
la sospensione dei termini di custodia cautelare di fase per un tempo
che resta affidato alla discrezionalita' del giudice nel  determinare
il calendario delle nuove udienze e che in  ipotesi  potrebbe  essere
ben piu' lungo rispetto a una ripresa dei lavori  d'aula  al  termine
dello sciopero proclamato: una sospensione di  termini  che  potrebbe
essere ancora  prolungata  in  occasione  di  nuove  sospensioni  che
dovessero cadere nel corso di un  processo  che  si  presenta  ancora
lungo, non avendo gli avvocati esaurito il pacchetto di  giornate  di
astensione che il codice di autoregolamentazione assicura. 
    In sostanza, in questa prospettiva, sono gli imputati detenuti  a
pagare il costo dell'astensione poiche' non  solo  la  loro  custodia
cautelare potrebbe protrarsi per tempi non predefiniti ma rispetto  a
un'eventuale valutazione di ingiusta detenzione  non  potrebbero  far
valere in alcun modo il diritto all'indennizzo per tutti i giorni  di
ingiusta custodia cautelare sofferta, in parte  qua  imputabile  alla
scelta di  consentire all'astensione  dei  difensori  e  quindi  alla
disponibilita' del proprio diritto ad essere  giudicati  in  custodia
cautelare entro i rigorosi termini di  fase  fissati  dal  codice  di
procedura. 
    In   sostanza   il   tribunale,    riservandosi    di    valutare
approfonditamente  la  questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'attuale  assetto  normativo   dell'astensione   dei   difensori,
considera elemento costitutivo di una tale  valutazione  la  risposta
che la Commissione vorra' dare, tramite  l'esercizio  dei  poteri  di
competenza, all'interpello di  questo  tribunale  di  rivalutare  sul
punto  l'approvazione  concessa  al  Codice  di  autoregolamentazione
dell'astensione dei professionisti avvocati  che  sembra  violare  il
principio di indisponibilita' della liberta' personale, il  principio
di ragionevolezza e di uguaglianza, posto che viene  attribuito  allo
sciopero dei difensori una valenza superiore allo sciopero  di  altre
categorie di lavoratori del settore  regiustizia,  quali  ad  esempio
magistrati e personale  di  cancelleria,  tenuti  inderogabilmente  a
celebrare processi con imputati detenuti in  costanza  di  astensione
dalle udienze, il principio di presunzione di innocenza, e il diritto
di difesa. 
    E' evidente, infatti, che il sistema, nell'assegnare all'imputato
detenuto la scelta sul consentire o  meno  l'astensione  del  proprio
difensore  mette  in  fibrillazione  il  rapporto  fiduciario  e   in
conflitto la  posizione  dell'assistito  con  quella  del  difensore,
facendo pagare al detenuto che non sia d'accordo con la richiesta del
difensore il rischio di compromissione del rapporto fiduciario, tanto
piu' se, come sembra, il  costo  dell'eventuale  ingiusta  detenzione
subita  per  effetto  della  sospensione  del  termine  di   custodia
cautelare finisca col ricadere unicamente sul detenuto al quale  tale
periodo non dovrebbe  essere  risarcibile.  Su  questa  linea  sembra
irragionevole che i  costi  dell'astensione  dei  difensori  ricadano
sull'imputato  detenuto,  presunto  innocente,  che  rappresenta   un
soggetto esterno alle ragioni dello sciopero, non  certo  controparte
sia pure in senso lato della categoria in sciopero,  a  meno  di  non
voler considerare l'imputato  detenuto  come  parte  dell'utenza  del
servizio giustizia che, secondo una tesi, costituisce la  controparte
dello sciopero degli avvocati. Ma in  questo  modo,  paradossalmente,
chi  paga  i  costi  dello   sciopero   sono   gli   stessi   clienti
dell'avvocato, imponendo  di  estendere  il  rapporto  fiducia  e  il
rapporto di prestazione d'opera fino a imporre al cliente un costo  e
un sacrificio del tutto inaccettabile quale la rinuncia a  giorni  di
liberta' personale, il protrarsi della cui privazione il cliente deve
accettare se intende mantenere  il  rapporto  fiduciario  e  comunque
quale prezzo della difesa. 
    Ma anche a volere considerare la questione sotto  diverso  ambito
e' evidente come lo Stato non possa rimettere a scelte  privatistiche
e soggettive la  rigorosa  disciplina  di  pubblico  interesse  sulla
durata della custodia cautelare. 
    La liberta' e la sicurezza sono diritti fondamentali che lo Stato
deve assicurare ai cittadini, operando  opportuni  bilanciamenti  con
altri interessi pubblici di pari rango. 
    Tra i casi che in  base  alla  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo giustificano la detenzione della persona  non  sono  e  non
potrebbero essere previste quelle situazioni  in  cui  l'arresto  del
soggetto si protrae per la tutela  dell'interesse  di  categoria  dei
difensori. 
    E se una soluzione del genere potrebbe essere riconosciuta  nelle
situazioni  eccezionali   di   cui   all'art.   7   del   Codice   di
autoregolamentazione, in cui per la tutela dei principi  fondamentali
il  detenuto  puo'  anche  rinunciare  alla  vita  e  ad  altri  beni
fondamentalissimi, come forma di protesta estrema per la  tutela  dei
principi costituzionali, tutto cio' non appare prima facie plausibile
in  una  situazione  di  ordinaria   conflittualita'   quale   quella
attualmente in corso. 
    Va poi considerato, secondo una diversa  prospettazione,  che  la
sospensione dei termini di custodia cautelare e' relativa  sola  alla
fase in cui si verifica la relativa causa. 
    Tale sospensione non incide sui termini di durata  massima  della
custodia cautelare. Cio' significa che lo  sciopero  degli  avvocati,
assentito dai detenuti, finisce con l'incidere su  elementi  di  base
della sovranita' popolare, finendo con l'incidere sull'equilibrio che
la legge ha individuato tra  sacrificio  complessivo  della  liberta'
personale prima della condanna definitiva, ed esigenze di  sicurezza,
particolarmente elevate in determinati casi,  che  impongono  che  il
processo si svolga con gli imputati in custodia cautelare. 
    In questo modo lo sciopero degli  avvocati  incide  direttamente,
privandole  di   corrispondente   efficacia,   sulle   determinazioni
legislative che assegnano all'autorita' giudiziaria  un  certo  tempo
per  pronunciare  la  sentenza  definitiva  con  imputato   detenuto,
congelando tutte i periodi di sciopero che  si  svolgono  durante  le
diverse fasi del processo  che  possono  cumulativamente  giungere  a
diversi mesi, per ogni anno di durata del processo. 
    Se il legislatore non  tollera  che  la  durata  complessiva  del
processo nelle sue diverse fasi incida sulla  liberta'  dell'imputato
oltre un certo limite, alla base di  tale  vincolo  deve  esserci  la
garanzia che l'autorita' giudiziaria possa operare efficacemente  per
tutta la durata dei termini concessi; se una  parte  di  tempo  viene
consumata per  impedimenti  non  imputabili  all'autorita'  che  deve
gestire  il  processo   ma   alle   unilaterali   determinazioni   di
un'associazione privata, cio'  che  viene  messo  in  discussione  e'
direttamente il principio di sovranita' popolare che s'incarna  nella
legge  processuale  i  cui  contenuti   vengono   unilateralmente   e
arbitrariamente modificati di fatto per unilaterale determinazione di
una categoria, rappresentativa soltanto dei propri associati. 
    Tutte le esigenze sottese alla determinazione di un  certo  tempo
massimo di durata della  custodia  cautelare  sono  cosi'  violate  e
compromesse, attraverso l'effetto dello sciopero sui termini  massimi
di custodia. In  questo  modo  l'avvocatura  ha  la  possibilita'  di
determinare unilateralmente con il consenso dei propri clienti -  che
da questo punto di vista potrebbero  nutrire  un  perverso  interesse
allo sciopero  che  finisce  con  l'incidere  sulla  possibilita'  di
concludere il processo prima della scadenza dei  termini  massimi  di
custodia  -  il  tempo  effettivo  che  puo'  essere  dedicato   alla
trattazione in vista della scadenza dei termini, in un  intreccio  di
interessi contrari a quelli prevalenti dello Stato di diritto, di cui
si celebrerebbe l'ineffettivita' e quindi l'incapacita' di  garantire
l'interesse di tutti i cittadini  e  un  ragionevole  contemperamento
degli interessi diversi da quelli dell'imputato detenuto. 
    Alla luce delle considerazioni che precedono, il  tribunale,  nel
disporre  il  rinvio  dell'udienza  alla  prima  utile,  ritiene  che
l'attuale concreta situazione che dimostra la  dubbia  compatibilita'
dell'indicata norma del codice di  autoregolamentazione  con  beni  e
interesse di maggior rango costituzionale, debba essere sottoposta al
giudizio della Commissione di garanzia per lo  sciopero  nei  servizi
pubblici  essenziali,  affinche'  la  stessa  possa,  se  del   caso,
rivalutare  l'approvazione   del   codice   di   Autoregolamentazione
dell'astensione  degli  avvocati  dalle  udienze,  fornendo  in   via
autonoma,  in  caso   di   mancato   nuovo   accordo,   una   diversa
regolamentazione  dell'astensione  degli  avvocati  in  presenza   di
imputati detenuti, in assenza delle  situazioni  di  cui  all'art.  7
dell'attuale codice di autoregolamentazione. 
    La sollecitazione alla Commissione di garanzia e' svolta ai sensi
dell'art. 13, lettere a) e b), legge n. 146/1990 che attribuisce alla
Commissione stessa poteri di iniziativa officiosa su  ogni  questione
concernente gli accordi o codice di autoregolamentazione. 
    In  accoglimento   della   sollecitazione   del   Tribunale,   la
Commissione di garanzia ha deliberato di convocare le associazioni di
rappresentanza degli  avvocati  al  fine  di  riaprire  un  confronto
finalizzato alla revisione del vigente codice di autoregolamentazione
delle  astensioni  dalle  udienze  degli  avvocati  con   particolare
riferimento all'art. 4, lettera b).». 
    La sollecitazione della  Commissione  non  ha  portato  ad  alcun
ripensamento ne' ad alcun raffreddamento del conflitto. 
    Va  infine  ricordato,  per  completezza,  che  gia'   nei   mesi
precedenti  gli  organismi  di  categoria  avevano  proclamato  altre
astensioni alle quali, tuttavia, gli imputati  detenuti  non  avevano
prestato il proprio consenso a che i propri difensori aderissero alla
astensione  proclamata.  Il  mutamento  di  opinione  degli  imputati
detenuti ha  coinciso  con  l'adozione  da  parte  del  tribunale  di
ordinanze istruttorie cui le difese si sono opposte. 
    2. La disciplina in  materia  di  astensione  degli  avvocati  e'
dettata, oltre che dalla fonte costituzionale (art. 18  Cost.)  dalla
legge n. 146 del 1990, cosi' come modificato dalla legge  n.  83  del
2000, recante «norme  sull'esercizio  del  diritto  di  sciopero  nei
servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia  dei  diritti  della
persona  costituzionalmente   tutelati»   nonche'   nel   Codice   di
autoregolamentazione delle astensioni delle udienze degli avvocati. 
    Nel dettaglio: 
        a)  L'art.  2-bis  della  legge  n.  146/1990  prevede   che:
«L'astensione collettiva dalle prestazioni, a fini di protesta  o  di
rivendicazione  di  categoria,  da  parte  di  lavoratori   autonomi,
professionisti o piccoli imprenditori, che incida sulla funzionalita'
dei servizi pubblici di cui all'art. 1, e' esercitata nel rispetto di
misure  dirette   a   consentire   l'erogazione   delle   prestazioni
indispensabili  di  cui  al  medesimo  articolo.  A  tale   fine   la
Commissione di garanzia di cui all'art. 12  promuove  l'adozione,  da
parte delle associazioni o degli organismi  di  rappresentanza  delle
categorie  interessate,  di  codici   di   autoregolamentazione   che
realizzino, in caso di astensione collettiva, il contemperamento  con
i diritti della persona costituzionalmente tutelati di  cui  all'art.
1. Se tali codici mancano o non sono valutati idonei a  garantire  le
finalita' di cui al comma 2 dell'art. 1, la Commissione di  garanzia,
sentite le parti interessate nelle forme previste dall'art. 13, comma
1, lettera a), delibera la provvisoria regolamentazione. I codici  di
autoregolamentazione devono in ogni  caso  prevedere  un  termine  di
preavviso non inferiore a quello indicato al  comma  5  dell'art.  2,
l'indicazione  della  durata  e  delle  motivazioni   dell'estensione
collettiva, ed assicurare in ogni  caso  un  livello  di  prestazioni
compatibile con le finalita' di cui al comma 2 dell'art. 1. 
        b) I commi 1 e 2 dell'art. 1 della legge  n.  146  del  1990,
richiamati, con il sistema del  rinvio,  dal  riportato  art.  2-bis,
stabiliscono che: «1. Ai fini della presente legge  sono  considerati
servizi pubblici essenziali, indipendentemente dalla natura giuridica
del rapporto di lavoro, anche se svolti in regime  di  concessione  o
mediante convenzione, quelli  volti  a  garantire  il  godimento  dei
diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla  vita,  alla
salute,  alla  liberta'  ed  alla   sicurezza,   alla   liberta'   di
circolazione, all'assistenza e previdenza sociale, all'istruzione  ed
alla  liberta'  di  comunicazione.  2.  Allo  scopo  di  contemperare
l'esercizio del diritto di sciopero  con  il  godimento  dei  diritti
della persona, costituzionalmente tutelati, di cui  al  comma  1,  la
presente legge dispone le regole da  rispettare  e  le  procedure  da
seguire   in   caso   di   conflitto   collettivo,   per   assicurare
l'effettivita', nel contenuto essenziale, dei  diritti  medesimi,  in
particolare nei seguenti servizi e  limitatamente  all'insieme  delle
prestazioni individuate come indispensabili  ai  sensi  dell'art.  2:
...». 
        c) L'art. 4, comma 1, lettera b) stabilisce che: L'astensione
non e'  consentita  nella  materia  penale  in  riferimento  ai  «...
procedimenti e nei processi in relazione ai quali l'imputato si trovi
in stato di custodia cautelare o di detenzione, ove l'imputato chieda
espressamente, analogamente  a  quanto  previsto  dall'art.  420-ter,
comma 5 (introdotto dalla legge n. 479/1999) del codice di  procedura
penale, che si proceda malgrado l'astensione del  difensore.  In  tal
caso il difensore di fiducia o  d'ufficio,  non  puo'  legittimamente
astenersi ed  ha  l'obbligo  di  assicurare  la  propria  prestazione
professionale.». 
    3.  Allo  stato,  un  importante  approdo  interpretativo   della
disciplina sopra indicata e' stato raggiunto dalla sentenza L.  delle
Sezioni unite (n. 40187 del 29 settembre 2014). 
    Il massimo consesso nomofilattico,  dopo  un'articolata  disamina
dell'evoluzione  normativa  e   giurisprudenziale   registratasi   in
materia, ha per un verso ribadito la valenza cogente erga omnes delle
norme del codice di autoregolamentazione, aventi forza  e  valore  di
normativa secondaria o regolamentare; per altro verso, hanno  escluso
la configurabilita', nell'attuale assetto  normativo,  di  un  potere
giudiziale di bilanciamento («se non in  ipotesi  eccezionali  ed  in
limiti molto ristretti») tra il diritto all'astensione  e  gli  altri
diritti  e   valori   di   rilievo   costituzionale,   essendo   tale
bilanciamento gia' stato operato dal  legislatore  e  dalle  predette
fonti secondarie. A sostegno di tali conclusioni, la sentenza ha  tra
l'altro valorizzato: 
        a) la natura non di mera  liberta',  ma  di  vero  e  proprio
diritto avente un sicuro fondamento costituzionale, che  deve  essere
riconosciuta all'astensione forense; 
        b) la riconduzione nell'ambito del «diritto oggettivo»  delle
norme contenute nel codice di autoregolamentazione dichiarato idoneo,
essendo state fissate  da  una  specifica  fonte  normativa,  cui  il
legislatore  primario  ha  attribuito  la  specifica   competenza   a
disciplinare la materia dell'astensione; 
        e) la gia' avvenuta integrale regolazione di quest'ultima  da
parte del legislatore e  delle  fonti  secondarie,  che  hanno  cosi'
realizzato un compiuto bilanciamento tra il diritto  ad  astenersi  e
gli altri diritti e valori  di  rilievo  costituzionale  (diritto  di
difesa e di azione, interesse dello Stato ad evitare la prescrizione,
ecc.); 
        d) la riserva al giudice, invece, della valutazione  relativa
alla conformita'  degli  atti,  costituenti  concreto  esercizio  del
diritto ad astenersi, rispetto alla normativa primaria  e  secondaria
predetta, correttamente interpretata; 
        e) la possibilita' per il giudice di compiere, in detta fase,
un «bilanciamento indiretto» degli  interessi  in  gioco,  attraverso
un'interpretazione adeguatrice e costituzionalmente  orientata  delle
norme primarie e secondarie, ovviamente con i limiti costituiti dalla
lettera della disposizione e dalla ratio della soluzione normativa; 
        f) la possibilita' di ipotizzare un bilanciamento  giudiziale
solo in ipotesi eccezionali, quali il venir meno della vigenza  delle
fonti secondarie, o l'emersione di diritti  e  valori  costituzionali
ulteriori (non riconducibili cioe' a  quelli  per  i  quali  e'  gia'
normativamente avvenuto  il  bilanciamento):  non  potendo  ritenersi
sufficiente, a tali  fini,  il  richiamo  a  generiche  «esigenze  di
giustizia» concernenti ad es. il disagio per  i  testi  residenti  in
localita' lontane. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    Questo tribunale, dovendo provvedere sulla  richiesta  di  rinvio
dell'udienza,  dubita  della  legittimita'  costituzionale  dell'art.
2-bis della legge n. 149 del  12  giugno  1990  nella  parte  in  cui
consente, con riferimento all'astensione collettiva dalle prestazioni
dei professionisti avvocati, che il  codice  di  autoregolamentazione
adottato   dalla   categoria   professionale   in   questione,   come
rappresentata dalle associazioni di categoria, valutato idoneo  dalla
«Cominissione di garanzia con delibera  n.  07/749  del  13  dicembre
2007, pubblidato nella Gazzetta Ufficiale n. 3 del  4  gennaio  3008,
preveda una disposizione quale quella contenuta nell'art. 4, comma 1,
lettera b) che, nel disciplinare le prestazioni  indispensabili  alle
quali il  professionista  avvocato  non  puo'  sottrarsi  neppure  in
presenza di  un'astensione  collettiva  di  categoria  legittimamente
proclamata, esclude dal divieto di  astensione  i  procedimenti  e  i
processi nei quali l'imputato o gli imputati si trovino in  stato  di
custodia cautelare o di detenzione, ove gli imputati o alcuni di essi
non chiedano espressamente che si proceda, malgrado l'astensione  del
difensore. Solo in tal caso il difensore di fiducia  o  d'ufficio  e'
tenuto alla prestazione professionale. 
    La legge, integrata dal codice di autoregolamentazione  approvato
dalla Commissione di garanzia, consente  ai  difensori  nei  processi
penali di astenersi anche in processi con detenuti, a  meno  che  gli
imputati in stato di custodia cautelare  non  chiedano  espressamente
che si proceda nonostante i difensori abbiano aderito  all'astensione
collettiva dalle udienze. 
    La questione che il tribunale intende sollevare  con  riferimento
al citato art. 2-bis, legge n. 149/1990  e'  rilevante  in  relazione
alla decisione che il tribunale deve adottare di disporre  il  rinvio
dell'odierna udienza nella quale tutti i difensori hanno  ritualmente
dichiarato   di   aderire   all'astensione   collettiva    proclamata
dall'associazione  delle  Camere  penali,  per  ogni  altro   aspetto
conforme alle regole e prescrizioni formali  e  sostanziali  previste
dal predetto codice di autoregolamentazione. 
    In presenza  di  una  astensione  collettiva  dei  professionisti
avvocati ai sensi dell'art. 2-bis, legge  n.  149/1990,  conforme  al
codice di autoregolamentazione previsto  dal  medesimo  articolo,  il
tribunale secondo il diritto vivente non ha  alcuna  possibilita'  di
valutare  autonomamente  la   legittimita'   dell'astensione   e   di
bilanciare  il  diritto  all'astensione  con  altri  beni  e   valori
costituzionalmente rilevanti ma deve disporre il  rinvio,  nonostante
sia evidente il pregiudizio  per  altri  fondamentali  diritti  della
persona e del cittadino  imputato,  producendo  conseguentemente  gli
effetti che si connettono al rinvio determinato  dall'astensione  dei
difensori: 
        sospensione del  termine  di  prescrizione  fino  alla  nuova
udienza; 
        analogamente, sospensione dei termini di  custodia  cautelare
per la fase del dibattimento di primo grado in corso. 
    In sostanza il tribunale in base alla norma vigente deve prendere
atto dell'esistenza  di  una  fattispecie  conforme  alla  regola  di
diritto dettata da Cassazione sezioni unite, 27 marzo 2014, n. 40187,
L., dare atto del diritto al rinvio dei difensori e della sospensione
dei termini anzidetti  fino  alla  nuova  udienza  che  il  tribunale
potrebbe fissare in modo  del  tutto  discrezionale,  sospendendo  il
dibattimento non  necessariamente  per  pochi  giorni  ma  anche  per
settimane  o  addirittura   mesi,   secondo   le   proprie   esigenze
organizzative. 
    Come e' noto il  «diritto  al  rinvio»,  attribuito  dal  sistema
legale  ai  professionisti  avvocati  che   deliberino   l'astensione
collettiva  in  modo  conforma  al  codice  di   autoregolamentazione
approvato, e' un portato del diritto vivente  sancito  dalle  recenti
pronunce delle sezioni unite, a partire dalla citata sentenza «L.». 
    Secondo  la  giurisprudenza  di   legittimita'   il   Codice   di
autoregolamentazione ha valore di legge ed efficacia erga omnes,  una
volta integrati i presupposti di legittimita' dell'astensione, e  non
residua  in  capo  al  giudice  alcun  potere  di  valutazione  e  di
bilanciamento tra il diritto del  difensore  e  la  tutela  di  altri
diritti fondamentali aventi copertura  costituzionale.  L'indicazione
perentoria che la giurisprudenza di legittimita' fornisce al  giudice
di merito e' nel senso che  la  disciplina  regolamentare  assume  il
ruolo di  vera  e  propria  fonte  «legislativa»,  autosufficiente  a
determinare il contemperamento tra i diversi interessi in gioco  gia'
in astratto, senza che sia rimesso alcun margine alla valutazione del
giudice nel caso concreto. 
    Le  Sezioni  unite   hanno   determinato   l'esatto   ambito   di
operativita'  e  la  forza  cogente  da  riconoscere  alla  normativa
regolamentare,  escludendo   margini   di   discrezionalita'   e   di
interpretazione, stante la chiusura di  tutti  gli  spazi,  salvo  un
profilo, di cui si dira' ma che non consente di giungere a  soluzione
diversa dal riconoscimento del diritto al rinvio. L'organo giudicante
deve considerarsi  vincolato  dai  principi  fissati  dal  Codice  di
autoregolamentazione e non puo' procedere, in  totale  autonomia,  al
bilanciamento degli interessi in gioco, rispondendo a logiche diverse
da quelle sottese alla logica regolamentare. 
    Per le Sezioni unite il Codice di autoregolamentazione  «contiene
una normativa di valore secondario, o regolamentare, che ha efficacia
obbligatoria per tutti  i  soggetti  dell'ordinamento,  ed  in  primo
luogo, quindi, nei confronti  del  giudice,  il  quale  e'  tenuto  a
rispettarla ed applicarla». La natura di norme di «diritto oggettivo»
attrae le disposizioni regolamentari nell'orbita della «legge», della
quale pertanto vengono applicati i  principi  generali  in  punto  di
efficacia, ricorribilita' ed interpretazione. 
    Tale posizione giustifica per un primo aspetto la rilevanza della
q.l.c. che si intende proporre, posto che dovendosi  dare  attuazione
alle disposizioni dei Codice che assumono rango di norma  primaria  e
non essendovi spazio per diverse letture interpretative  delle  norme
del  Codice  di  autoregolamentazione  che   possano   escludere   il
riconoscimento della sussistenza del diritto nel  caso  concreto,  il
contemperamento  tra  il  diritto   all'astensione   collettiva   dei
professionisti e gli altri diritti costituzionalmente tutelati  trova
la completa realizzazione nella «legge», come definita dalla  Suprema
Corte, che ha risolto a monte il  giudizio  di  bilanciamento  tra  i
contrapposti valori in gioco,  sulla  base  di  parametri  oggettivi,
certi, generali ed astratti, non rimessi a valutazioni  discrezionali
del singolo caso. 
    Ne' il correttivo introdotto in extremis nell'ultima parte  della
motivazione della sentenza L.  consente  di  giungere  a  conclusioni
diverse. 
    La  Suprema  Corte  ammette,  infatti,   seppure   come   ipotesi
marginale, «che possano residuare  diritti  o  valori  costituzionali
diversi ed ulteriori rispetto a quelli considerati dalla legge o  dal
Codice di autoregolamentazione, tali  da  poter  ancora  giustificare
l'esercizio di un potere discrezionale del giudice volto  a  limitare
il diritto costituzionale di liberta' del difensore di astenersi». 
    Se, dopo avere escluso la sussistenza di ogni potere  diretto  di
effettuare il bilanciamento la Corte di  cassazione  reintroduce  uno
strumento di bilanciamento in via indiretta, tale strumento non  puo'
essere utilizzato in modo  da  negare  cio'  che  si  e'  poco  prima
affermato e cioe' che e' compito  esclusivo  del  legislatore,  anche
attraverso  lo  strumento  secondario  e  regolamentare,  individuare
l'esatto punto di equilibrio tra i differenti interessi in gioco.  Ne
segue che sul piano applicativo e  dell'interpretazione  delle  norme
non si possono introdurre criteri di bilanciamento che il legislatore
ha giudicato espressamente irrilevanti o soccombenti, nel momento  in
cui ha autorizzato la negoziazione tra la categoria interessata e  la
Commissione di garanzia. Se si e' ritenuto da parte  del  legislatore
di  abdicare  a  una  diretta  tutela  di  tutti  gli  altri,  valori
costituzionali in gioco, demandandone la tutela alla  Commissione  di
garanzia delegata a tutelarli su un piano meramente negoziale;  e  se
la Suprema Corte  ha  fissato  rigorosi  confini  all'intervento  del
giudice e al suo potere d'interpretazione, non vi e'  interpretazione
adeguatrice che possa far ritornare  in  gioco  quei  valori  che  il
Codice di autoregolamentazione espressamente subordina al diritto  di
astensione dei difensori. Ne segue che il tentativo di recupero di un
potere discrezionale del giudice, sul piano  dell'interpretazione  in
concreto della norma regolamentare, alla luce di «altri»  principi  e
valori costituzionali, trova il limite invalicabile di ogni attivita'
interpretativa: l'interpretazione non puo' allontanarsi  dal  dettato
normativo tanto  da  conseguire  risultati  contra  legem,  dovendosi
percorrere in tali ipotesi la strada della questione di  legittimita'
costituzionale. 
    Nel caso in  esame,  la  disciplina  legislativa  scaturente  dal
Codice di autoregolamentazione regola espressamente, con chiarezza  e
senza alcun vuoto  normativo,  la  situazione  normativa  che  questo
tribunale considera costituzionalmente illegittima perche' lesiva  di
altri fondamentali diritti della persona e di principi costituzionali
inderogabili. Nella disciplina  regolamentare  tutti  i  confliggenti
valori costituzionali, la liberta' personale, il  diritto  di  difesa
dell'imputato in vinculis, il giusto processo,  la  garanzia  che  il
processo con imputati detenuti nei cui confronti sussistono  esigenze
cautelari  e  percio'  in  custodia  cautelare  si  svolga  in  tempi
compatibili con la presunzione  di  innocenza,  e  quindi  il  giusto
contemperamento tra esigenze di sicurezza, tempi processali  e  tempi
della  custodia,  sono  espressamente  considerati  e  valutati  come
subvalenti rispetto al diritto di astensione dei difensori, ai  tempi
processuali e ai tempi della custodia, per cui nessun margine residua
per individuare valori espressamente non contemplati da  fare  valere
in  via  interpretativa  posto  che  tutti  i  valori  costituzionali
soccombenti si ritiene siano stati espressamente valutati nel momento
in cui si e' consentito il rinvio del processo e la protrazione della
custodia cautelare per tutta la  durata  dell'astensione  collettiva,
sol che non vi sia espressa manifestazione contraria dell'imputato  e
quindi rimettendo alla disponibilita'  del  soggetto  interessato  la
tutela  di  valori  che  hanno  un  ben  diverso  valore  pubblico  e
costituzionale, che come tali prescindono  dalla  considerazione  del
singolo direttamente interessato, e debbono essere tutelati in quanto
tali. 
    I beni e i valori costituzionali in gioco hanno rilievo pubblico;
la tutela dei diritti fondamentali  dell'individuo  va  garantita,  a
prescindere dalla valutazione che ne faccia il singolo  titolare;  si
tratta  di  diritti  irrinunciabili,  indisponibili,  irriducibili  a
valutazioni di convenienza soggettiva  e  privata,  essendo  la  loro
tutela   finalizzata   anche   al   mantenimento   degli    equilibri
costituzionali nel rapporto tra potere dello Stato  di  garantire  la
sicurezza e il rispetto delle leggi attraverso il giusto  processo, e
il diritto del cittadino al rispetto delle liberta' fondamentali;  un
equilibrio  che  va  assicurato  dal  legislatore  in  ossequio  alla
Costituzione,  senza  improprie  deleghe  o   rimessioni   a   terzi,
foss'anche il diretto titolare del diritto. 
    La rilevanza della questione va esaminata  sotto  altro  distinto
profilo. 
    L'ordinanza  che  il  tribunale  deve   adottare   non   riguarda
evidentemente il merito  del  processo  ma  attiene  ad  un  giudizio
incidentale che concerne il riconoscimento del  «diritto  al  rinvio»
dei difensori che,  totalitariamente,  hanno  dichiarato  di  aderire
all'astensione collettiva dalle udienze con l'effetto di  determinare
la sospensione dei termini di custodia  cautelare  per  gli  imputati
detenuti e dei termini di prescrizione per tutti gli imputati. 
    La  questione  che  il  tribunale  intende  affrontare   riguarda
peraltro solo il primo dei  due  effetti  e  i  suoi  riflessi  sulla
gestione e durata dei processi con imputati detenuti. 
    Il processo, nel quale la questione e' sollevata, e' un  processo
di criminalita' organizzata (imputazioni prevalenti ex  art.  416-bis
c.p.)  con  piu'  di  centocinquanta  imputati,  centinaia  di   capi
d'imputazione una mole abnorme di atti di indagine e di prove assunte
e  da  assumere,  comprese  decine  di  migliaia  di  intercettazioni
telefoniche e ambientali. 
    In questo contesto la reiterazione  di  astensioni  e  di  rinvii
disarticola e sconvolge la programmazione della fase  dibattimentale,
con  aggravio  consistente  dei  costi,  posto   che   l'allestimento
dell'aula,  la   sua   sicurezza,   servizi   di   vigilanza   e   di
videocollegamento producono rilevatiti costi fissi. 
    Si tratta peraltro di quelle generiche esigenze di giustizia  che
la Cassazione ha valutato  come  recessive  rispetto  al  diritto  di
astensione. 
    Il profilo che il tribunale intende esaminare e' percio'  diverso
e attiene all'effetto  del  rinvio  sulla  liberta'  personale  degli
imputati, sul giusto processo con imputati detenuti, sul  diritto  di
difesa, sul rapporto tra ragionevole durata del processo e durata del
termine massimo di «carcerazione preventiva» che  il  legislatore  ha
fissato in determinati limiti. 
    La rilevanza della questione attiene  alla  decisione  intermedia
sul riconoscimento del diritto al rinvio. 
    Se la Corte dovesse dichiarare l'illegittimita' della  norma  che
si sottopone allo scrutinio di costituzionalita' non  si  avrebbe  la
sospensione dei termini (di custodia e di prescrizione) come  effetto
del riconosciuto diritto insindacabile  del  difensore  ad  astenersi
dall'udienza,   in   assenza   di   espressa   richiesta    contraria
dell'imputato, ma come conseguenza  della  sospensione  ex  lege  del
processo per l'incidente di costituzionalita'.  Il  che  produce  una
significativa differenza  giuridica  posto  che  la  sospensione  del
termine non deriva direttamente dalla richiesta degli imputati e  dei
loro difensori, ma  dalla  necessita'  di  sollevare  l'incidente  di
costituzionalita' per fare dichiarare  l'illegittimita'  della  norma
che sancisce il diritto al rinvio nella fattispecie considerata. 
    Cio' posto, i profili di illegittimita' costituzionale che questo
tribunale ritiene di sottoporre  alla  Corte  costituzionale  sono  i
seguenti: 
        a)  violazione  dell'art.  13,  commi  primo  e  quinto,   in
relazione  all'art.  27  della  Costituzione,  nella  parte  in   cui
stabilisce l'inviolabilita' della liberta' personale  e  la  rigorosa
definizione per via legislativa dei  casi  in  cui  l'imputato  debba
essere sottoposto a misura di custodia cautelare in  carcere  durante
lo svolgimento del processo. Ritiene il tribunale che il principio in
questione esclude che l'imputato  possa  subire  il  protrarsi  della
restrizione della liberta' personale per  motivi  diversi  da  quelli
considerati  espressamente  dalla  legge  con  riferimento  a  quegli
essenziali   interessi   pubblici   che   giustificano   il   ricorso
dell'imputato,  presunto  innocente,  alla  custodia   cautelare   in
carcere. La presunzione di non colpevolezza che accompagna l'imputato
fino al momento della sentenza definitiva comporta  che  non  soli  i
casi di restrizione della liberta'  per  esigenze  processuali  e  di
sicurezza nella fase processuale siano tassativamente definiti  dalla
legge, ma che  la  stessa  durata  della  custodia  sia  fissata  dal
legislatore  nell'esclusiva   considerazione   delle   esigenze   che
giustificano un ragionevole contemperamento del diritto  di  liberta'
fino a sentenza irrevocabile. La tassativita' dei casi di restrizione
della liberta' personale si estende anche alla  durata  della  stessa
nel senso che le sole ragioni che possono giustificare  per  i  tempi
stabiliti dal legislatore la privazione della liberta' devono  essere
espressamente considerate dal legislatore senza che quel  vincolo  di
legalita' possa essere riempito da considerazioni esterne, diverse da
quelle  espressamente  considerate  dal   legislatore.   Il   sistema
costituzionale e la normativa sulla custodia cautelare  nel  processo
penale sono rigidamente orientate a far si' che la custodia cautelare
fino  a  sentenza  definitiva  abbia  la  minor   durata   possibile,
compatibilmente con le esigenze  cautelari  e  processuali.  Solo  le
esigenze cautelari e i tempi ragionevoli dell'accertamento giudiziale
possono giustificare ai sensi dei parametri  costituzionali  invocati
la durata della custodia. Cio' significa che non solo l'imputato  non
possa disporne ma che  la  protrazione  della  custodia  (determinata
dalla sospensione dei termini di fase ai sensi  dell'art  303,  primo
comma, lettere a) e b) c.p.p.) possa  avvenire  solo  per  specifiche
esigenze difensive, valutate dal giudice che  puo'  in  ogni  momento
respingere richieste di rinvio provenienti dall'imputato  o  dal  suo
difensore, quando non determinate da ragioni di legittimo impedimento
o da concrete esigenze di difesa. Non e' questo il  caso  del  rinvio
richiesto, per consentire  al  difensore  di  aderire  all'astensione
collettiva.  In  questo  caso,  trattandosi  di   esigenza   estranea
all'interesse difensivo dell'imputato, ininfluente rispetto alla  sua
posizione processuale, del tutto avulsa dagli interessi materiali  in
gioco nel processo, il rinvio che provoca la sospensione dei  termini
di custodia cautelare e' estraneo al rigido sistema costituzionale di
tutela  della  liberta'  personale  e  di   restrizione   finalizzata
esclusivamente alla tutela di esigenze  di  sicurezza  e  processuali
nella fase di celebrazione del processo. Si osservi che il rinvio del
processo  per  adesione  dell'imputato  all'astensione  del   proprio
difensore produce non  solo  il  protrarsi  ingiusto  della  custodia
cautelare dell'imputato presunto innocente, specie se tale  innocenza
dovesse  essere   accertata   all'esito   del   processo   ma   anche
l'impossibilita' per l'ingiustamente detenuto di fare valere  diritto
alla riparazione per l'ingiusta detenzione per i giorni  di  custodia
cautelare sofferti, per avervi dato causa per dolo o colpa grave.  In
concreto per avere prolungato volontariamente  la  custodia  ingiusta
eventualmente sofferta. Un ordinamento che garantisce con tale rigore
il diritto di liberta' personale non puo' ammettere che  di  essa  si
faccia  libera  disponibilita'  per  consentire   ai   professionisti
avvocati di esercitare anche nei processi  con  detenuti  il  diritto
all'astensione dalle udienze per ragioni rilevanti per  la  categoria
professionale. Qui, ad avviso del tribunale, vi  e'  quel  conflitto,
con diritti costituzionali della persona  che  a  norma  dell'art.  1
della stessa legge n. 149/1990 avrebbe dovuto portare  all'esclusione
dal codice di autoregolamentazione del diritto  di  astensione  dalle
udienze, in presenta di imputati detenuti; 
        b) sotto altro profilo la  disciplina  dell'astensione  dalle
udienze degli avvocati in processi con  imputati  detenuti  confligge
con l'ultimo comma dell'art. 13 ultimo comma della  Costituzione,  in
relazione al principio di ragionevole durata del processo (111  primo
e secondo comma C.),  nonche'  al  principio  di  subordinazione  del
giudice  alla  legge  e  alla  sovranita'   popolare,   espressa   da
quest'ultima: 101/1-2 C. Il parametro va  integrato  con  riferimento
all'art. 1 della Costituzione (principio di sovranita' popolare) e 70
della Costituzione. 
    La questione concerne  l'esclusiva  competenza  del  legislatore,
espressione della sovranita' popolare, a stabilire il  tempo  massimo
assegnato all'autorita' giudiziaria  per  concludere  il  processo  a
carico di imputati detenuti. Un tempo massimo cui fa  da  pendant  la
valutazione del tempo giudicato assolutamente necessario  a  definire
determinati processi con imputati detenuti. 
    Se  il  legislatore  ha  assegnato  un  termine  massimo  per  la
pronuncia  di  una  sentenza  irrevocabile  con  imputato   detenuto,
contemperando attraverso la fissazione di termini massimi le esigenze
cautelari  con  il  diritto  alla  liberta'  personale  del  presunto
innocente,  significa  che  solo  il  legislatore  interprete   della
sovranita' popolare puo' stabilire quanto  tempo  sia  necessario  ed
entro quanto tempo lo Stato deve  definire  i  processi  nei  diversi
gradi di giudizio con imputati detenuti.  La  gestione  e  l'uso  del
tempo per concludere  il  processo  nei  tre  gradi  di  giudizio  e'
affidato  dal  legislatore  all'autorita'  giudiziaria  che   ha   la
responsabilita' di definire in tempi ragionevoli i processi anche per
assicurare che le  esigenze  cautelati  che  giustificano  le  misure
cautelari non siano frustrate dall'abnorme durata delle diverse  fasi
del processo. Se sulla gestione e sulla durata dei tempi  processuali
intervengono fattori diversi da quelli espressamente considerati  dal
legislatore  nella  previsione  della  ragionevole  durata,   fattori
esterni incidenti potestativamente sui tempi assegnati per giungere a
sentenza, non sara' piu' il legislatore e tramite esso il  popolo'  a
fissare il tempo della giustizia ma singoli soggetti o categorie  che
finiscono col disporre della durata di detti  termini  in  violazione
dei suddetti principi fondamentali. E' noto infatti che  per  nessuna
ragione nei processi con imputati detenuti la custodia cautelare puo'
oltrepassare, in relazione a tutti i gradi di giudizio, i termini  di
durata complessiva fissati nell'ultimo  comma  dell'art.  303  c.p.p.
Cio' significa che  il  rinvio  delle  udienze  nel  primo  grado  di
giudizio, a seguito dell'astensione dei difensori  nei  processi  con
imputati detenuti non e' affatto neutro, quanto  agli  effetti  sulla
possibilita' di definire  il  giudizio  nei  diversi  gradi  entro  i
termini massimi complessivi ma finisce con l'erodere il tempo che  il
legislatore ha ritenuto e assegnato  come  ragionevole  per  definire
tempestivamente il processo  nei  tre  gradi,  prima  della  scadenza
dell'invalicabile termine cumulativo dei massimi di fase.  Attraverso
l'astensione  dalle  udienze  con  imputati  detenuti,  la  categoria
professionale interessata priva l'amministrazione della giustizia  di
parte del tempo che il legislatore ha ritenuto ragionevole  assegnare
all'autorita' giudiziaria per pronunciare la sentenza definitiva  nel
rispetto degli interessi, dei diritti e  dei  principi  che  solo  il
legislatore puo'  considerare  rilevanti.  Ne'  puo'  dirsi  che  non
sussiste antinomia tra norme di pari grado che possono coesistere tra
loro,  attribuendo  alla  norma  che  disciplina  l'astensione  degli
avvocati il potere di derogare a regole processuali,  espressione  di
fondamentali principi costituzionali in materia di  giusto  processo.
Ritiene il tribunale che nel caso  di  specie  il  bilanciamento  sia
stato effettuato  senza  tenere  conto  dei  preminenti  interessi  e
principi costituzionali  che  trovano  fondamento  nel  principio  di
sovranita' popolare attraverso la legge. Il bilanciamento in  base  a
tali  principi  esige  che  l'astensione  dalle  udienze   non   deve
interferire con fondamentali manifestazioni di sovranita' consistenti
nell'esercizio  dell'azione  penale,  nell'applicazione  della  legge
penale, demandata alla magistratura nelle forme e nei modi  stabiliti
esclusivamente dalla legge processuale, nel rispetto dei principi del
giusto processo. Si tratta di interferenze settoriali e di  categoria
che finiscono col determinare unilateralmente il contenuto  effettivo
delle norme processuali. 
    Nel caso dell'astensione collettiva degli avvocati penalisti  nei
processi con detenuti i termini di custodia complessivi e  quindi  il
tempo entro cui  il  processo  si  deve  concludere  per  evitare  la
scarcerazione dell'imputato, subisce variazioni dipendenti dal numero
e dalla durata delle astensioni dalle udienze, unilateralmente decise
dalle associazioni di categoria, incidenti  anche  sul  principio  di
buon andamento dell'amministrazione della giustizia e  sul  principio
di uguaglianza, posto che la  possibilita'  di  definire  i  processi
entro il termine previsto dalla legge dipende dalla maggiore o minore
durate delle astensioni dei difensori e dalla partecipazione  o  meno
del difensore alle astensioni proclamate dalla categoria; 
        c) quest'ultimo rilievo mette in evidenza la torsione che  la
norma sull'astensione dalle udienze con imputati detenuti produce sul
diritto di difesa ex art. 24 C., in relazione all'art. 3. 
    Non vi e' dubbio  che  la  relazione  tra  difensore  e  imputato
assistito e' una  relazione  asimmetrica.  L'imputato  si  affida  al
proprio difensore di fiducia sia in ragione di un  intuitus  sia  per
ragioni tecniche e professionali. Quando si  chiede  all'imputato  di
consentire all'astensione del difensore, pur nella consapevolezza del
costo che tale astensione potrebbe provocare per l'imputato detenuto,
si incunea nella relazione  tra  imputato  e  difensore  un  elemento
psicologico di valutazione della condotta del difensore estraneo alle
ragioni  della  scelta,  un  fattore  non  inerente  alla   relazione
professionale, che introduce nella stessa un elemento non tecnico  ma
latamente «politico», non  strettamente  legato  alle  ragioni  della
difesa, potenzialmente inquinante del rapporto fiduciario, l'imputato
potendo accettare la scelta del proprio difensore  suo  malgrado,  al
solo scopo di conservare il rapporto con il proprio difensore  ma  al
contempo dovendo  rinunciare  a  far  valere  le  sue  esigenze.  Far
dipendere dunque dall'imputato detenuto la scelta  di  consentire  al
proprio difensore se  astenersi  o  meno  mette  sullo  stesso  piano
soggetti  che  sono  su  un  piano  diverso,  imponendo  all'imputato
detenuto, e quindi in condizioni di minorita', una scelta estranea al
proprio interesse alla definizione piu' rapida possibile del processo
e alle ragioni della scelta del difensore, richiedendogli  un'opzione
e un atto di volonta' che non sono e non possono  essere  libere,  in
questo   modo   strumentalizzandosi   l'imputato    alle    finalita'
dell'astensione del difensore, finalita' estranee ai criteri  e  alle
ragioni della difesa; 
        d)  tutte  le,ragioni  sopra  svolte  vanno   riesaminate   e
rivalutate alla stregua  dell'art.  3  della  Costituzione  sotto  il
profilo dell'intrinseca irragionevolezza della  previsione  normativa
che finisce nel  solo  caso  degli  avvocati  con  l'attribuire  alla
manifestazione di protesta e alla rivendicazione di categoria un peso
abnorme e sproporzionato, ben diverso e, superiore da quello  di  cui
possono  disporre  altre   categorie   di   lavoratori   autonomi   e
professionisti,  proprio  perche'  l'astensione  degli  avvocati  nei
processi con imputati detenuti interferisce per le  ragioni  indicate
col bene fondamentale  della  liberta'  personale  valore  che  nella
gerarchia dei beni supremi sta  sotto  solo  al  bene  della  vita  e
dell'integrita' personale, beni che, a loro volta, non possono essere
in alcun modo essere compromessi o messi in  pericolo  da  astensioni
dei professionisti o lavoratori autonomi. D'altra  parte,  potendo  i
professionisti avvocati con  la  loro  astensione  nei  processi  con
detenuti, il cui consenso  potrebbe  considerarsi,  come  visto,  per
certi aspetti non genuino e per altri indisponibile,  far  valere  il
peso specifico di un disagio grave arrecato a  un  servizio  pubblico
essenziale  quale  l'Amministrazione  della  Giustizia   penale   con
imputati detenuti, in assenza di qualsivoglia  contrappeso  derivante
dalla mancanza di ogni potere dell'autorita' pubblica di ricorrere  a
precettazione  o  ad  altre  iniziative  di  contrasto  nei  casi  di
particolare disagio provocato all'interesse prevalente, la disciplina
dell'astensione,  limitata  alla  sola  stipula  di  un   codice   di
autoregolamentazione  in  assenza  di  vincoli  e  limiti   normativi
pregiudiziali,  appare  altamente  irragionevole  potendo  mettere  a
rischio  e  compromettere  quel  fondamentalissimo  bene  che  e'  la
liberta' personale da un lato e la sicurezza  collettiva  dall'altro.
Si considerino poi le differenze che anche normativamente la legge n.
146 prevede tra  le  astensioni  nei  servizi  pubblici  disciplinati
dall'art. 2 e quelli regolati dall'art. 2-bis; 
        e) a questo proposito e' sufficiente considerare,  sempre  in
tema di violazione del principio di eguaglianza, che la  legge  sullo
sciopero nei servizi pubblici essenziali prevede una ben piu' cogente
disciplina  dello  sciopero  dei  dipendenti  del   Ministero   della
giustizia addetti al servizio di assistenza  all'udienza  penale.  Le
prestazioni che tali dipendenti sono tenuti ad  assicurare  ai  sensi
degli articoli 1 e 2 della legge n.  146/1990,  pur  in  costanza  di
astensione, sono  sia  l'assistenza  alle  udienze  di  convalida  di
arresti e  fermi  sia  le  udienze  con  imputati  detenuti.  Citiamo
dall'art. 1, secondo comma, delle legge n. 146: 
    2. Allo scopo di contemperare l'esercizio del diritto di sciopero
con  il  godimento  dei  diritti  della  persona,  costituzionalmente
tutelati, di cui al comma 1, la presente legge dispone le  regole  da
rispettare e le procedure da seguire in caso di conflitto collettivo,
per assicurare l'effettivita', nel  loro  contenuto  essenziale,  dei
diritti medesimi, in particolare nei seguenti servizi e limitatamente
all'insieme delle  prestazioni  individuate  come  indispensabili  ai
sensi dell'art. 2; a) per quanto concerne la tutela della vita, della
salute, della liberta' e della sicurezza della persona, dell'ambiente
e del patrimonio storico-artistico; la sanita': l'igiene pubblica; la
protezione civile; la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani  e
di quelli tossici e nocivi; le dogane, limitatamente al controllo  su
animali e  su  merci  deperibili;  l'approvvigionamento  di  energie,
prodotti energetici, risorse naturali e  beni  di  prima  necessita',
nonche'  la  gestione  e  la  manutenzione  dei  relativi   impianti,
limitatamente  a  quanto  attiene  alla   sicurezza   degli   stessi:
l'Amministrazione della giustizia,  con  particolare  riferimento  ai
provvedimenti  restrittivi  della  liberta'  personale  ed  a  quelli
cautelari ed urgenti, nonche' ai  processi  penali  con  imputati  in
stato di detenzione. 
    Omissis. 
    Appare  evidente  la  disparita'  di   trattamento   rispetto   a
quest'altra categoria di lavoratori che assicurano il servizio  della
giustizia penale, la cui dignita' come persone e come lavoratori  non
puo' essere menomata attribuendo agli  avvocati  un  maggior  diritto
nello  stesso  ambito  dell'astensione  dalle  udienze  per   ragioni
sindacali. Cio' senza considerare il codice  di  autoregolamentazione
dello sciopero dei magistrati che stabilisce come in  materia  penale
l'astensione non  e'  consentita  nei  procedimenti  e  processi  con
imputati  detenuti.   Trattandosi   di   attivita'   che   ugualmente
interferiscono con diritti fondamentali della persona, una diversita'
di trattamento dell'astensione collettiva non  puo'  essere  ammessa,
attribuendo agli avvocati il  privilegio  negativo  ed  esclusivo  di
impedire la  celebrazione  di  processi  indilazionabili  quali  sono
quelli con imputati detenuti, sia pure con il consenso dei clienti. 
        f) Ultimo profilo,  infine,  di  intrinseca  irragionevolezza
della  norma  impugnata  sta  nel  fatto  che  lo  stesso  codice  di
autoregolamentazione  dell'astensione  degli  avvocati  prevede  alla
lettera a) dello stesso art. 4 1, il divieto di astensione  nei  casi
di assistenza al compimento degli atti di perquisizione e  sequestro,
alle  udienze  di  convalida  dell'arresto  e  del  fermo,  a  quelle
afferenti misure cautelari, agli interrogatori ex art. 294 del codice
di procedura penale, all'incidente probatorio ad eccezione  dei  casi
in cui non si verta  in  ipotesi  di  urgenza,  come  ad  esempio  di
accertamento  peritale  complesso,  al  giudizio  direttissimo  e  al
compimento degli atti urgenti di  cui  all'art.  467  del  codice  di
procedura  penale.  Orbene  le  differenze  tra  gli  istituti  sopra
indicati e i processi con imputati  detenuti  non  appaiono  tali  da
giustificare l'esistente radicale differenza di  disciplina.  Proprio
in relazione a cio' che si e' detto sulla necessita' che il  processo
penale  con  imputati  detenuti  si  deve  concludere   nei   termini
normativamente previsti per prevenire una liberazione priva  di  base
sostanziale ma imputabile solo ai tempi del processo, le  istanze  di
urgenza di tali processi sono altrettanto rilevanti e decisive per il
corretto assetto della giustizia penale. Si tenga conto che in quelle
diverse situazioni esistono istituti che consentirebbero di procedere
anche nell'assenza del difensore mentre nel procedimento penale  tali
istituti ernergenziali non esistono.